non so se dalle facce nella foto sta cosa si capisce, ma a monte di procida siamo stati assai bene.. coccolati, sfamati a botte di pizze, alici fritte, primi di pesce e impepata di cozze e pure pagati!
Il pubblico era prevalentemente di persone di un'età nella quale, almeno da noi, non ci si alza più per ballare, ché le gambe sono gonfie, specialmente in estate, e se ne stavano pazientemente, prima e impazientemente poi, sedute nelle sedie di plastica di tutti i colori che mi ricordavano quelle fuori ai bar antonietta a san marco quando ero bambino e mangiavo il camillino.
Prestissimo però, al primo applauso fragoroso, ho iniziato a lasciare la cecità da inizio e cercare gli occhi, decifrando i lievi movimenti delle mani e dei piedi, o le teste che si piegavano cercando l'orecchio della vicina per un commento, e il nuovo piegarsi - questa volta verticale in segno di affermazione - della ricevente, che mi confortava e mi faceva capire che dicevano cose belle, magari di noi, della festa. Del fresco e del blu sopra di noi. Di come è bello stare ancora una volta lì alla festa del quartiere.
Abbiamo raccontato il viaggiare per mare degli altri popoli, quelli che attraverso di lui, ieri come oggi, venivano a depredare, scambiare merci, portar via ragazze, o cercare conforto, asilo e un pasto caldo.
Abbiamo raccontato di cosa parlavano quelle antiche poesie che venivano
dalla Bosnia turca, dalla Turchia, da Smirne, Atene, Durazzo, e chiesto loro di provare a capire le parole dai suoni, che se i suoni le fanno entrare nel corpo, il corpo poi capisce...
Una signora a un certo punto ci ha alluccato se almeno una cosa nostra la facevamo, e allora abbiamo chiamato Ferrante che è salito a salutare popolo e famiglia cantandoci una amuri amuri e na tarantella joggese, ma in un calabrese in fondo non tanto lontano per colori e suoni dalle altre sorelle lingue cantate.
Alla fine, mentre smontavamo, don Vincenzo è salito con l'età dei suoi piedi e la gioventù degli occhi chiari e lucidi, mi ha preso la mano e senza più lasciarla mi dice che aveva capito tutto, tutto quello che avevo cantato, le parole, il senso, e mi dice ancora, sollevando lo sguardo verso un posto lontano oltre il cielo, oltre Ischia, "je agge capit tutt' cos', je navigavo, e quann stev for' e coste d'o Montenegro agge sentut' 'o ramadan!!! Nuje navigavem fine e ll'Albania, 'a Grecia, e avimme sentut parlà a tanta gente, appicciavem 'a radio e sentevem tutte chelli musiche c'avite sunat vuje"...
E' bello suonare a due passi da casa, e vedere come una fila di anziani e anziane venire a mettere una firma, ma pure una X, sotto alla descrizione che hai scritto del tuo concerto, il file pdf che mandi ai festival e organizzatori per cercare di lavorare, quel concerto che si chiama 'na varca 'mmiez' 'o mare', e vuole essere un semplice e umile ringraziamento a chi col suo viaggiare ci ha fatti diventare così ricchi di sapori e profumi.
Scrivevo a Dina poco fa che mi piacerebbe regalarci una serata in inverno, quando il mare è grosso e non è navigabile, in un posto chiuso e circolare, in cui invitare tutte le persone che c'erano, e raccontarci le storie, quelle di chi partiva, e quelle di chi restava a casa a pregare ed aspettare.
Il pubblico era prevalentemente di persone di un'età nella quale, almeno da noi, non ci si alza più per ballare, ché le gambe sono gonfie, specialmente in estate, e se ne stavano pazientemente, prima e impazientemente poi, sedute nelle sedie di plastica di tutti i colori che mi ricordavano quelle fuori ai bar antonietta a san marco quando ero bambino e mangiavo il camillino.
Prestissimo però, al primo applauso fragoroso, ho iniziato a lasciare la cecità da inizio e cercare gli occhi, decifrando i lievi movimenti delle mani e dei piedi, o le teste che si piegavano cercando l'orecchio della vicina per un commento, e il nuovo piegarsi - questa volta verticale in segno di affermazione - della ricevente, che mi confortava e mi faceva capire che dicevano cose belle, magari di noi, della festa. Del fresco e del blu sopra di noi. Di come è bello stare ancora una volta lì alla festa del quartiere.
Abbiamo raccontato il viaggiare per mare degli altri popoli, quelli che attraverso di lui, ieri come oggi, venivano a depredare, scambiare merci, portar via ragazze, o cercare conforto, asilo e un pasto caldo.
Abbiamo raccontato di cosa parlavano quelle antiche poesie che venivano
dalla Bosnia turca, dalla Turchia, da Smirne, Atene, Durazzo, e chiesto loro di provare a capire le parole dai suoni, che se i suoni le fanno entrare nel corpo, il corpo poi capisce...
Una signora a un certo punto ci ha alluccato se almeno una cosa nostra la facevamo, e allora abbiamo chiamato Ferrante che è salito a salutare popolo e famiglia cantandoci una amuri amuri e na tarantella joggese, ma in un calabrese in fondo non tanto lontano per colori e suoni dalle altre sorelle lingue cantate.
Alla fine, mentre smontavamo, don Vincenzo è salito con l'età dei suoi piedi e la gioventù degli occhi chiari e lucidi, mi ha preso la mano e senza più lasciarla mi dice che aveva capito tutto, tutto quello che avevo cantato, le parole, il senso, e mi dice ancora, sollevando lo sguardo verso un posto lontano oltre il cielo, oltre Ischia, "je agge capit tutt' cos', je navigavo, e quann stev for' e coste d'o Montenegro agge sentut' 'o ramadan!!! Nuje navigavem fine e ll'Albania, 'a Grecia, e avimme sentut parlà a tanta gente, appicciavem 'a radio e sentevem tutte chelli musiche c'avite sunat vuje"...
E' bello suonare a due passi da casa, e vedere come una fila di anziani e anziane venire a mettere una firma, ma pure una X, sotto alla descrizione che hai scritto del tuo concerto, il file pdf che mandi ai festival e organizzatori per cercare di lavorare, quel concerto che si chiama 'na varca 'mmiez' 'o mare', e vuole essere un semplice e umile ringraziamento a chi col suo viaggiare ci ha fatti diventare così ricchi di sapori e profumi.
Scrivevo a Dina poco fa che mi piacerebbe regalarci una serata in inverno, quando il mare è grosso e non è navigabile, in un posto chiuso e circolare, in cui invitare tutte le persone che c'erano, e raccontarci le storie, quelle di chi partiva, e quelle di chi restava a casa a pregare ed aspettare.